26 agosto 2008

L'Unità: le cose che non si dovevano dire

Il direttore de L'Unità è stato cambiato (cacciato), per volontà di Veltroni. Lo spiega bene Marco Travaglio in Le cose che non si dovevano dire, sul suo blog.

Stando a quanto scrive Travaglio, ho appreso che mi sbagliavo sul conto de L'Unità: è stato (e speriamo continui ad essere) un giornale davvero libero.

Critiche sul cambio di direttore:

Poi l'intervista di Walter Veltroni al Corriere della Sera che, all’indomani dell’acquisto dell’Unità da parte di Renato Soru, auspicava un “direttore donna”, cioè il licenziamento di Padellaro (che purtroppo è maschio). Lì s’è avvertita la prima, violenta rottura: non è usuale che un segretario di partito licenzi un direttore di giornale e indichi le caratteristiche del successore, specie se quel giornale non appartiene né a lui nè al suo partito. Se, nell’autunno del 2002, pur provenendo da tutt’altra storia e tradizione, accettai con gioia la proposta di Colombo e Padellaro, mediata dal comune amico Claudio Rinaldi, di collaborare all’Unità con una rubrica quotidiana, fu proprio perché l’Unità non era più un giornale di partito, ma un giornale libero, che rispondeva soltanto ai suoi editori, direttori e lettori. Infatti in questi sei anni mi sono sentito libero di scrivere in assoluta autonomia, senza mai subire le benchè minima censura. Ora quel fatto da troppi trascurato - l’intervista di Veltroni - comporta una svolta non da poco, un peccato originale destinato inevitabilmente a incombere sul futuro.
E l'elogio a l'Unità:
Nell’Agenda Unica del Pensiero Unico del Padrone Unico, mentre la gran parte dell’opposizione dialogava o andava a rimorchio, l’Unità ha continuato a proporre pervicacemente un’altra agenda, un altro pensiero, un altro vocabolario. A dire le cose che, altrove, non si possono dire e a vedere le cose che, altrove, si preferisce non vedere. Nel paese dove, come ha detto efficacemente Gianrico Carofiglio all’Espresso, “da 15 anni Berlusconi è il padrone delle parole della politica”, perché “ha scelto lui i nomi con cui chiamare le cose e gli argomenti”, l’Unità portava ogni giorno in prima pagina altre parole, continuando ostinatamente a chiamare le cose col loro nome, non con gli pseudonimi berlusconiani e dunque “riformisti”: su questa Unità la guerra è guerra, non missione di pace; il separatismo è separatismo, non federalismo fiscale; il razzismo è razzismo, non sicurezza; il monologo è monologo, non dialogo; l’inciucio è inciucio, non riformismo; il regime è regime, non governo di destra con cui dialogare; i mafiosi sono mafiosi e i corrotti corrotti, non vittime del giustizialismo; i processi sono processi, non guerra tra giustizia e politica; le leggi incostituzionali sono leggi incostituzionali, non risposte eccessive a problemi reali; Mangano era un mafioso e chi lo beatifica non “fa una gaffe”: è come lui.
Meno male che ci sono ancora giornalisti come Marco Travaglio, e giornali che lo fanno scrivere. Speriamo che questi ultimi continuino ad esserci. Anche se tutti i colleghi del calibro di Travaglio sono già stato relegati al mondo virtuale dei blog e dell'informazione su internet.

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