26 agosto 2008

L'addio di Antonio Padellaro

Riporto l'editoriale di Antonio Padellaro, ex direttore dell'Unità.

Scrivo il mio ultimo articolo da direttore de l’Unità.
Da lunedì prossimo - così ha deciso la proprietà e così annuncia il comunicato dell’azienda - a dirigere questo giornale sarà Concita De Gregorio a cui rivolgo auguri sinceri di buon lavoro. Scrivo il mio articolo più difficile perché difficile è separare l’emozione che provo rivolgendomi per l’ultima volta a voi cari lettori dalla riflessione necessaria, nell’atto del commiato, su questi miei sette anni e mezzo qui a l’Unità.
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Mi considero un giornalista fortunato. Ho lavorato in grandi testate e con grandi direttori da cui ho cercato di imparare tutto ciò che l’amore per questo mestiere, da solo, non poteva insegnarmi. Ma è stato l’ultimo mio direttore, Furio Colombo, a farmi comprendere quale e quanta straordinaria energia possa scaturire dall’eccellente uso della parola scritta quando essa si sposa alla limpida passione civile, al coraggio delle proprie idee, alla difesa delle ragioni dei lettori sopra ogni altra cosa.
Risorta il 28 marzo 2001 dalle proprie ceneri quando per tutti era ormai spacciata, l’Unità di questi anni è stata, ed è, assai più di un semplice quotidiano, frutto del contributo di molti. L’intuizione di Alessandro Dalai. Il coraggio di un pugno di imprenditori capitanati da Marialina Marcucci e Giancarlo Giglio. La dedizione dell’amministratore delegato Giorgio Poidomani. Intorno, un quadro economico precario caratterizzato dalla scarsezza di introiti pubblicitari, vera pietra al collo per un quotidiano costretto ogni giorno a misurarsi con dei colossi editoriali. Ma, sopra tutto, l’orgoglio e la tenacia di una redazione impegnata ogni giorno a difendere la storia e il prestigio del proprio giornale. Sì, il giornale fondato da Antonio Gramsci la cui direzione ha rappresentato per chi scrive un punto d’arrivo. Un privilegio. L’ho condiviso con tanti. Vorrei citarli tutti. Li rappresentano al meglio Pietro Spataro, vicedirettore vicario, e Rinaldo Gianola, vicedirettore a Milano. Con Luca Landò e Paolo Branca. Grandi professionisti e uomini veri.
Il risultato di questa felice combinazione umana e professionale è il giornale «politico» più venduto in Europa. Una media giornaliera di 48mila copie certificate nei primi sette mesi del 2008 (certo, meno delle 60mila vendute nel 2002; certo, più delle zero copie da cui eravamo ripartiti). Una platea giornaliera di 274mila lettori effettivi (dati Audipress 2008). Un giornale dalla forte identità e dall’innegabile peso politico. l’Unità si può amare o avversare ma tutti sanno che giornale è, quali idee esprime, quali valori difende, contro cosa e contro chi irriducibilmente si batte. È strano che, oggi, nel gran discutere che si fa sull’assenza di opinione pubblica in Italia e sul «vuoto di senso e di memoria» giustamente denunciato da eminenti leader democratici si dimentichi quanta opinione di un pubblico affezionato e appassionato abbia intorno a sé il giornale che state sfogliando.
Chi fa quotidianamente l’Unità, chi la impagina, chi la pubblica sa bene chi sono i suoi lettori.

Sono quelli che incontra alle Feste che io continuerò a chiamare dell’Unità. Quelli che ci stringono la mano e ci chiedono di andare avanti, di non lasciarli soli e di continuare a scrivere ciò che scriviamo.
Sono convinto che l’Unità che verrà sarà almeno altrettanto forte e almeno altrettanto apprezzata. Lo auguro di cuore ai colleghi e ai tanti amici che lascio e con i quali ho condiviso una straordinaria esperienza. E lo auguro a Renato Soru che ha il merito di aver creduto nel valore e nelle potenzialità di un giornale difficile e però unico.
Ma io ancora per un giorno sono il direttore di questa Unità, e ancora per un giorno ne canterò le lodi.
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Tre fotografie porterò con me.
Nella prima, c’è il premier più ricco e più potente che mostra al suo pubblico e alle sue tv un giornale dalla inconfondibile striscia rossa e lo indica come il “nemico”. Un giornale perciò da «dismettere», come ha chiesto e preteso nella sua prima dichiarazione dopo il trionfo elettorale dello scorso 13 aprile. Che il premier più ricco e più potente, sul cui impero dell’informazione non tramonta mai il sole, non sia riuscito a domare questo piccolo grande giornale è motivo di orgoglio per tutti coloro che, ancora, sono riusciti a non farsi dismettere.
Ai tanti smemorati (anche nel campo a noi vicino) vorrei rammentare l’insostituibile funzione che l’Unità ha avuto, appena rinata, negli anni più duri dell’opposizione al secondo governo Berlusconi. Su queste colonne si è ritrovato un gruppo di firme coraggiose e autorevoli, provenienti dalle più diverse culture politiche. Dalle sponde più moderate a quelle più di sinistra ma che su questioni fondamentali, come la difesa della legalità e della Costituzione, hanno saputo parlare lo stesso linguaggio del lettorato ed elettorato riferimento naturale dell’Unità: quello dei Democratici di sinistra prima e del Pd poi. Il nome che li rappresenta tutti è quello di Paolo Sylos Labini, un grande uomo libero che aveva fatto suo, e nostro, il manifesto di Daniel Defoe: «Ho visto gente mettersi in combutta per distruggere la proprietà, corrompere le leggi, invadere il governo, traviare le persone e, per dirla in breve, schiavizzare e intrappolare la nazione; e allora ho gridato: “Al Fuoco”». Erede di questa cultura libera e liberale non a caso Marco Travaglio, con noi fin dall’inizio, è diventato un beniamino dei lettori.
Nell’aprile del 2006 pensammo che il fuoco fosse domato e la battaglia vinta. Salutando la vittoria di Romano Prodi titolammo: «Berlusconi addio». Ci sbagliavamo. Ma nessuno in quel momento poteva immaginare con quale grado di autolesionismo si sarebbe gettata alle ortiche l’occasione storica di sottrarre il nostro paese al dominio di una satrapia e restituirlo al novero delle democrazie occidentali. Per questo obiettivo continuerò, continueremo a fare i giornalisti.
l’Unità di questi anni ha cercato di mantenere un difficile punto di equilibrio nell’agitato mare del centrosinistra e ora del Pd. Rispetto e considerazione per l’appartenenza politica della maggior parte dei nostri lettori. Senza indulgenze o ammiccamenti. In piena libertà di stampa. Sempre pronti a castigare ridendo i nostri cari leader. Lo Staino quotidiano e il molto irriverente M sono lì a dimostrarlo.
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La seconda istantanea è la prima pagina dell’Unità listata a lutto, con una moltitudine di nomi e di storie. I nomi e le storie dell’immensa e continua strage sul lavoro, vergogna nazionale.
Solo chi non ha mai letto veramente l’Unità può sostenere che il nostro sia stato, e sia il giornale di un antiberlusconismo pregiudiziale e fine a se stesso. Il pregiudizio è di chi ha preferito non vedere i danni prodotti dalla cultura padronale e reazionaria scaturita dai governi della destra. A questi attacchi, spesso di stampo fascista e razzista l’Unità, giornale del lavoro, dei diritti civili e dei diritti di libertà ha risposto, ogni giorno, colpo su colpo.
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La terza immagine che porto con me è quella di Ingrid Betancourt finalmente libera. E non dimenticherò quanto mi hanno detto poche settimane fa a Roma la madre e la sorella della donna che l’Unità, raccogliendo migliaia di firme, ha proposto per il Nobel per la pace: «Grazie al vostro grande giornale».

Finisce qui. Il direttore di questo grande giornale si congeda. Grazie Unità.

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